La Presidente del Consorzio al webinar della sezione toscana di AIPIN (Associazione Italiana per l’Ingegneria Naturalistica)

 

 

“E’ una metodica di intervento ideale soprattutto nelle zone montane e di pregio ambientale: consente il riuso dei materiali recuperati sul posto, azzera l’impatto sul paesaggio e a garantire un giusto equilibrio tra sicurezza idrogeologica e salvaguardia della biodiversità Importanti risultati raggiunti nella manutenzione dei torrenti Teggina e Gardone e nel ripristino della frana di Catero Ama nel comune di Pratovecchio Stia Prima la manutenzione del Teggina, poi quella del Gardone con l’introduzione del sistema step and pools e, infine, il ripristino del versante franato in località Catero Ama, nel comune di Pratovecchio-Stia Sono queste le esperienze da cui è partita Serena Stefani, Presidente del Consorzio di Bonifica 2 Alto Valdarno, per sostenere l’utilizzo dell’ingegneria naturalistica nella gestione idrogeologica del territorio

“Per il secondo anno il Consorzio ha rinnovato con convinzione la sua adesione all’associazione nazionale per l’ingegneria naturalistica”, ha commentato Serena Stefani, Presidente del CB2,intervenendo al webinar della sezione toscana dell’AIPIN.

“Una scelta convinta, soprattutto dopo aver sperimentato direttamente questa modalità operativa in Casentino dove sono stati effettuati importanti interventi. Tra questi: il ripristino di una frana di versante in località Catero Ama nel comune di Pratovecchio Stia  e  la manutenzione di due corsi d’acqua montani,   il Gardone e il Teggina, nello stesso comune, dove, insieme alla funzionalità idraulica, si è raggiunto un evidente miglioramento del benessere della fauna ittica che li popola”.

Eccellente il risultato.

Il completo riuso del materiale naturale, reperito sul posto nel corso degli interventi, ha permesso di accrescere la  sicurezza idrogeologica, con un’operazione che si è perfettamente integrata con l’ambiente circostante.

“Nessun esito impattante  sul paesaggio e sugli ecosistemi presenti e, dal punto di vista sociale, duplice arricchimento per il territorio, su cui sono state  investite risorse che hanno permesso di valorizzare  materiali autoctoni”, ha aggiunto Stefani.

“Questa tecnica si è dimostrata particolarmente efficace sul reticolo e sui versanti montani, nei luoghi più impervi, praticamente irraggiungibili  con i mezzi meccanici. Dal punto di vista ambientale è un modus operandi che il Consorzio intende sostenere e riproporre. Per prima cosa nelle aree naturali di maggiore pregio, come quelle che ricadono all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, di Campigna e del Monte Falterona,  ente con cui l’Alto Valdarno punta a una collaborazione sempre più stringente per l’individuazione di buone pratiche di intervento, da definire insieme e da estendere al resto del comprensorio. Analogo il discorso per i territori montani, dove non si può prescindere dall’utilizzo di questa disciplina trasversale per intervenire in modo equilibrato sulle numerose opere idrauliche e di bonifica, che necessitano di una profonda e importante attività di manutenzione per ritrovare la loro completa efficienza”.

Erede delle consolidate esperienze collezionate in materia dall’Unione dei Comuni Montani del Casentino, il Consorzio ha sollecitato di recente la Regione Toscana a destinare risorse specifiche da investire  nella bonifica montana  da trattare con pratiche di ingegneria naturalistica.

“Strategiche, in questo percorso, continuerà ad essere la collaborazione con l’Università di Firenze e   lo staff del professore Federico Preti, con cui il nostro Consorzio lavora in modo attivo, e la formazione del personale, su cui l’ente ha investito e investirà molto”.